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Politica
Guerra Ucraina, "Zelensky? A Montecitorio parlerà di De Gasperi e Resistenza"

Massimo Bernardini

Guerra in Ucraina, il conduttore di Tv Talk Massimo Bernardini: “Zelensky? Comunicatore efficacissimo. Lo stadio e le bandiere in Russia solo un tocco di modernizzazione a un linguaggio antico”

C’è il conflitto che non dà tregua da quasi un mese. C’è la diplomazia che cerca di aprire un canale tra Russia e Ucraina. E poi c’è l’informazione che, mai come in questa guerra nel cuore dell’Europa e di una società interconnessa quale la nostra, è particolarmente pervasiva. In più c’è Volodymyr Zelensky che proprio grazie ai suoi registri e capacità comunicative si è imposto sulla scena. A poche ore dall’incontro in videoconferenza del presidente ucraino con il Parlamento italiano, ne parliamo con il giornalista e autore televisivo Massimo Bernardini. Il noto conduttore di Tv Talk, intervistato da Affaritaliani, prova anche a ipotizzare quali corde il leader ucraino toccherà davanti ai deputati e ai senatori: “Secondo me da noi potrebbe rifarsi a De Gasperi o alla Resistenza. A occhio direi che non citerà Togliatti”.

Bernardini, cominciamo proprio dalle evocazioni di Zelensky: il Muro di Berlino in Germania, l’11 settembre negli Stati Uniti, la Shoah in Israele. Si sta rivelando un comunicatore efficace?
Partiamo dai fatti e i fatti ci dicono, come hanno raccontato diversi analisti, che Zelensky viene dalla televisione sia come autore e regista e sia come protagonista e attore. E questo ha fatto sì che anche gran parte del suo staff venisse da quel mondo. Noi italiani che abbiamo visto cose che gli altri non hanno visto – con un grande tycoon diventato presidente del Consiglio - non è che possiamo guardare dall’alto in basso questo tipo di situazioni. Qualcuno dei critici di Zelensky, e io lo trovo un po’ scorretto, comincia a rimproverargli questo passato e a sostenere che se non riesce a trovare il bandolo della matassa è perché in fondo è un guitto. Questo è ciò che si comincia a dire tra le righe. In realtà, in un’epoca liquida come la nostra sta succedendo che l’eroico capo di una nazione che resiste a una invasione è un ex televisivo. Ecco tutto.

Ed è efficace oppure no, a suo avviso?
Efficacissimo. Solo un attore è in grado di interpretare la parte del resistente in un modo per il Parlamento inglese, in un altro per il Parlamento americano e in un altro ancora per quello israeliano. In ognuno di questi luoghi ha dato una chiave diversa.

Oggi tocca all’Italia. Quali corde toccherà e che cosa citerà?
Secondo me da noi citerà De Gasperi, se lo conosce, o la Resistenza. A occhio direi che non citerà Togliatti.

Qualche critica però da Israele è arrivata. Il presidente ucraino ha toppato o comunque l’obiettivo di far arrivare il suo messaggio alla gente l’ha centrato?
Non sono ebreo e quindi lascio giudicare al popolo di Israele. Però una cosa voglio dirla a proposito di possibili confusioni e rimozioni della storia.

Prego.
Non dimentichiamo che solo nel primo anno della nostra spedizione in Ucraina noi abbiamo mandato 65 mila soldati, poi diventati mezzo milione, a occupare quel pezzo allora di Unione Sovietica. Ecco a me piacerebbe sapere per quale motivo non ce lo diciamo, visto che insieme all’Africa sono i due posti in cui la nostra presenza è stata più discutibile.

Da un lato ci sono i video di Zelensky per strada e dall’altro c’è lo stadio di Putin. Per tacere dell’“operazione militare speciale”. Che comunicazione è quella russa?
E’ la modernizzazione di un antico linguaggio. Tutto qui.

Che cosa vuole dire?
Che lo stadio, le bandiere, l’intera messinscena sono un aggiornamento dell’antico. A me sembra che la logica della censura in Russia non sia mai sparita, non è mai andata via. Lì un vero rapporto democratico coi media non ce l’hanno. Non è ancora nato. A parte qualche eccezione e qualche giornalista che rischia la vita o è diventato martire come Anna Politkovskaja. La verità è che questo pianeta è molto popolato di regimi autoritari verso i media. I russi sono solo un pezzo del mondo. In Cina, per esempio, o in certi Paesi dell’area mediorientale non è diverso. Diciamo che la vecchia Europa ha imparato a gestire democraticamente i media dopo la seconda Guerra mondiale. Non dimentichiamo, infatti, che il Minculpop ce lo avevamo noi.

Torniamo alla guerra tra Russia e Ucraina. Che effetto ha sulla comunicazione l’inevitabile polarizzazione tra aggressore e aggredito?
Essendo entrati da molto tempo in una all news perenne è inevitabile che tutto si sfarini, si ripeta e diventi superficialità. Questo è il vero pericolo. Ma semplicemente perché noi abbiamo acceso il solito motore del 24 ore su 24. A stento riusciamo a raccontare qualcos’altro. Tra un po’ anche la conduttrice di un quiz comincerà a parlare della guerra in Ucraina. Ci manca solo questo. Ecco il problema: la nostra televisione non ha più una misura e, non avendola, è inevitabilmente destinata a straparlare.

In questa guerra irrompono i social. Quanto la tv e le testate online sono costrette a inseguire il citizen journalism e come devono cambiare il loro modo di fare informazione?
Di positivo c’è comunque che non abbiamo mai avuto così tanti occhi moltiplicati sulla realtà. Questa è una novità enorme. E’ vero che espone a possibili equivoci, strumentalizzazioni, storture e parzialità. Ma è anche vero che la parzialità precedente era ancora maggiore. Prima avevamo un po’ di giornalisti sul campo e le fonti ufficiali. Il Vietnam è stata l’unica guerra in cui i cronisti hanno avuto una certa libertà di racconto. Poi si è passati al giornalismo embedded, col quale però non si riesce più di tanto ad avere notizie di prima mano. L’epoca di oggi, quindi, può svelare cose che non potresti raccontare se non così, se non perché qualcuno in quel determinato posto ha in mano un telefonino. Attenzione, però.

A che cosa?
Il problema è che a furia di abbattere l’intermediazione dei giornalisti ci si ritrova con cento punti di vista diversi. Ma chi fa la sintesi? Chi mette in relazione i fatti e prova a darci uno sguardo il più realistico possibile della situazione?

La funzione del giornalista rimane centrale.
Sarà sempre utile, anzi sempre più utile. Il problema è che noi stiamo utilizzando una selvaggia logica da talk show che ha bisogno di analisti che la pensano in maniera contrapposta e di ospiti che si sbranano. Una logica da Domenica sportiva che stiamo applicando a tutto e, ahimè, anche alla guerra.

Se il conflitto dovesse durare a lungo intravede anche un rischio di assuefazione da ‘bombardamenti’ mediatici?
Se dovesse durare a lungo secondo me riaccenderanno il Grande Fratello, che è appena finito. Perché, alla fine, la gente normale si stanca di questa all news perenne. Vuole evasione, tutti noi abbiamo bisogno di evasione.
 

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