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Economia
Concessioni balneari verso la proroga. E lo Stato perde 15 miliardi l'anno

Concessioni balneari, Lega-Pd fanno muro: si apre una fase di transizione per le liberalizzazioni 

La bella stagione si avvicina e il caso “balneari” ri-esplode. Mentre la corsa per approvare il Ddl concorrenza 2022 in tempi utili si fa sempre più fitta e tesa, la riforma sulle concessioni balneari richiesta dall'Unione europea e approvata all'unanimità dal consiglio dei ministri a febbraio rischia di saltare. Questo perché, due relatori del provvedimento, da una parte il leghista Paolo Ripamonti e dall'altra Stefano Collina, senatore del Partito Democratico, nella giornata di ieri hanno presentato a Montecitorio un emendamento che introduce un'ulteriore fase di transizione per le liberalizzazioni.

Nel dettaglio, la proposta prevede prima una prima mappatura del litorale, poi la messa a gara delle spiagge italiane, e la garanzia ai titolari degli stabilimenti di un tempo di cinque anni per prepararsi, insieme a indennizzi più forti se perderanno la concessione. Un “piano” che di fatto potrebbe allungare non poco i tempi della riforma sulle concessioni balneari fortemente voluta dal governo.

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Concessioni balneari, lo stallo politico 

Era infatti febbraio 2022 quando il consiglio dei ministri ha dato il disco verde al provvedimento sulle concessioni, prevedendo dal primo gennaio 2024 la messa a gara degli stabilimenti, con l'obiettivo di “assicurare un utilizzo più sostenibile del demanio marittimo; favorirne la pubblica fruizione; promuovere un maggiore concorrenza sulle concessioni balneari”, sottolineava la nota di Palazzo Chigi. A oggi, a distanza di mesi, il nodo resta però ancora irrisolto.

Da una parte la Lega vorrebbe modificare il testo licenziato dal Governo con un emendamento che prevede una proroga di cinque anni dell'entrata in vigore del nuovo sistema della messa a gara delle concessioni balneari e una prelazione per i vecchi concessionari. D'altra parte il Movimento 5 Stelle fa notare, che una nuova proroga del vecchio regime, significa mandare l'Italia in infrazione e perdere i soldi del Next Generation Eu.

"Noi stiamo dando una mano anche agli imprenditori del turismo", ha detto ieri Matteo Salvini. Anche i Pentastellati vogliono tutelare i vecchi concessionari, dietro i quali,però, si troverebbero anche rendite di posizione che impediscono al settore di essere più efficiente e competitivo. "Una tematica complessa che si trascina da oltre un decennio, senza trovare soluzione", ha fatto notare il senatore Mario Turco (M5s), vicepresidente del M5s.

"Dopo anni di proroghe, dal gennaio del 2024 la politica è chiamata a dare certezze ad un settore che per un decennio ha vissuto di false attese", ha detto ancora Turco auspicando "un nuovo corso con gare pubbliche e con un maggiore efficienza di tutto il settore".

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Sul piede di guerra anche l'Associazione Diritti Utenti e Consumatori che lamenta un quadro grigio e opaco in tema di concorrenza. “Sembra che ci sia un accordo nel governo per leggere a modo loro (tenersi buoni i gestori dei lidi) la sentenza del Consiglio di Stato che aveva fissato a fine 2023 l’avvio delle procedure per gare d’appalto con prezzi di mercato per la gestione delle spiagge: le procedure partiranno per le spiagge libere e concedibili, per le altre (quasi tutte) è prevista una mappatura che durerà cinque anni, e quindi saranno fissati i termini per le gare".

"Chissà cos’altro si inventeranno fra cinque anni, visto che questa storia va avanti dal 2006… ma già si intravede: il governo che pone la golden power, diritto di riserva in caso di minaccia all’interesse nazionale da parte di soggetti ritenuti per quest’ultimo nocivi. Il tutto è nella legge sulla cosiddetta concorrenza che dovrebbe essere nell’aula del Parlamento giovedì prossimo. Se qualcuno aveva bisogno di un quadro su cosa significano le liberalizzazioni nel nostro Paese, questa vicenda ne è lo specchio”, sottolinea l'associazione.

Concessioni balneari, il nodo economico 

Ma oltre allo stallo politico, il nodo è anche tutto economico. Il tema sulle concessioni balneari, di proroga in proroga, non ha mai visto una vera e propria regolamentazione in Italia: gli stabilimenti hanno continuato a pagare canoni di affitto irrisori a fronte di servizi e investimenti, talvolta, immobili e inesistenti. Secondo un recente report di Legambiente in alcune note spiagge italiane, dove il costo di lettini e ombrelloni, arriva anche a mille euro al giorno, il canone d'affitto dei lidi non è proporzionato.

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Solo per citarne alcuni:  a Santa Margherita Ligure il Lido Punta Pedale versa all’erario 7.500 euro l’anno, a Forte dei Marmi il Bagno Felice corrisponde 6.500 euro per 4.860 metri quadri occupati. O ancora Il Luna Rossa di Gaeta ne sborsa 11.800 mentre il Bagno azzurro di Rimini 6.700. In Sardegna, per le 59 concessioni di Arzachena, lo Stato porta a casa solo 19 mila euro. Infine, il Papeete Beach di Milano Marittima paga 10 mila euro di affitto rispetto a un fatturato di 700 mila.

Gli ultimi dati disponibili, sottolinea il report, certificano 115 milioni di euro di entrate ogni anno, di cui solo 83 effettivamente riscossi. E risultano ancora da versare 235 milioni di canoni non pagati dal 2007. Eppure secondo gli ultimi dati della Corte dei Conti, nel 2020 lo Stato ha incassato 92 milioni e 566mila euro per 12.166 concessioni “ad uso turistico” a fronte di un giro d’affari difficile da stimare con precisione, ma che negli ultimi anni è stato quantificato in 15 miliardi di euro all’anno dalla società di consulenza Nomisma. Il problema di fatto, come sottolinea la Corte dei Conti, sta nel rapporto costi-ricavi.

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Gli affitti sono meno che proporzionati ai guadagni. “I canoni attualmente imposti non risultano, in genere, proporzionati ai fatturati conseguiti dai concessionari attraverso l’utilizzo dei beni demaniali dati in concessione, con la conseguenza che gli stessi beni non appaiono, allo stato attuale, adeguatamente valorizzati”, scrive la Corte dei Conti. Una situazione immobile da decenni, che rischia ora, un'ulteriore paralisi.

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