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Esteri
Taiwan, giallo per l'audio sull'invasione. Il rischio di una guerra Cina-Usa

Il giallo dell'audio sull'invasione di Taiwan: "Pronti 140 mila uomini e..."

Centoquarantamila uomini e 935 navi. Queste sarebbero le cifre delle forze messe in campo dalla Repubblica Popolare Cinese per invadere Taiwan, indipendente de facto come Repubblica di Cina ma ritenuta da Pechino il pezzo mancante da "riunificare" per completare il "ringiovanimento" della nazione. I numeri arrivano da un audio che ha avuto ampia diffusione soprattutto sui media indiani e che restituirebbe discussioni in un incontro "segreto" tra generali dell'Esercito popolare di liberazione ed esponenti politici della provincia meridionale del Guangdong, da dove verrebbero mobilitate le forze armate in direzione Taiwan. Si parla anche di predisposizioni in campo sanitario e operativo per far fronte all'ipotetico sforzo bellico.

La diffusione limitata sui media indiani viene considerata da molti analisti come un segnale che l'audio non sarebbe attendibile anche perché la fonte primaria non è verificabile. Senza contare il fatto che i media indiani hanno una recente ma già ben lunga storia di notizie non verificate sui conti della Cina, grande rivale di Nuova Delhi sullo scacchiere asiatico. Da sottolineare la coincidenza di tempi con le parole di Joe Biden con le quali il presidente degli Stati Uniti ha ribadito per la terza volta in pochi mesi che in caso di attacco Washington sarebbe pronta a intervenire per difendere Taipei.

Dunque finita qui? Non proprio. La questione Taiwan, come raccontato più volte da Affaritaliani (l'ultima qui), rappresenta di certo una delle grandi incognite del futuro prossimo. Quanto prossimo non è dato sapere, ma il fatto che continuino a rincorrersi indiscrezioni su presunti piani di invasione rischia di alimentare una profezia che si autoavvera. La realtà dice che, col XX Congresso del Partito comunista e una situazione economica non più rosea come un tempo, Xi Jinping abbia al momento altre priorità di natura interna. Ma è anche vero che la guerra in Ucraina, le mosse degli Stati Uniti e quelle di Taipei potrebbero dare l'impressione a Pechino che il tempo possa non giocare più dalla sua parte.

Il pericoloso botta e risposta Usa-Cina su Taiwan

Anche perché il botta e risposta è proseguito in maniera vorticosa in questi giorni, anche in queste ore. Ieri, durante la visita a Taipei della senatrice statunitense Tammy Duckworth, che ha ribadito l'impegno Usa a rafforzare le difese dell'isola contro la minaccia di un ipotetico attacco di Pechino, è stata registrata una maxi incursione di 30 jet militari cinesi nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese. La più grande incursione dallo scorso gennaio e la seconda più grande dell'anno. 

Un chiaro messaggio rivolto a Washington, nel quale Pechino ribadisce per l'ennesima volta che l'obiettivo della "riunificazione" ("annessione" per Taipei) è ritenuto "storico" e non negoziabile. Solitamente di fronte a questi messaggi incrociati Taiwan resta più defilata e cerca di non testare i limiti di uno status quo che sembrava solido fino a qualche anno fa e che invece ora appare sempre più fragile. Eppure, oggi è arrivato un messaggio inedito. Non solo e non tanto nel contenuto, ma anche in chi l'ha pronunciato, vale a dire la presidente taiwanese Tsai Ing-wen.

Tsai ha infatti dichiarato che la Guardia nazionale degli Stati Uniti sta pianificando una "cooperazione" con l'esercito taiwanese. "Non vediamo l'ora che ci sia una cooperazione più stretta e approfondita tra Taiwan e Stati Uniti in materia di sicurezza regionale", ha dichiarato. Un aiuto di cui Taipei ha bisogno viste le perplessità su mezzi e addestramento, rinfocolate da un incidente avvenuto proprio nelle scorse ore con un velivolo da addestramento AT-3 dell'Aeronautica di Taiwan che si è schiantato nei pressi di Kaohsiung, provocando la morte del pilota. Il segnale del velivolo è scomparso dai radar cinque minuti dopo il decollo, mentre sorvolava lo spazio aereo del distretto di Gangshan per una sessione d'addestramento. Non si tratta di una novità assoluta, nel corso degli ultimi anni gli incidenti che hanno visti coinvolti mezzi militari taiwanesi sono stati diversi.

La Cina pronta a lanciare la sua terza portaerei

I taiwanesi non si sentono del tutto pronti a difendersi in caso di aggressione cinese. Negli scorsi giorni, il 49,5 per cento dei taiwanesi intervistati dalla Taiwan Public Opinion Foundation (Tpof) ritiene che le competenze dell'amministrazione guidata da Tsai Ing-wen siano “inadeguate” ad affrontare un’eventuale invasione da parte della Cina. La politica estera di Tsai è ritenuta adeguata dal 56,7 per cento dei partecipanti al sondaggio, con una quota del 49,5 che ha espresso particolare soddisfazione per la gestione dei rapporti con la Repubblica popolare cinese. Ma è evidente che, mentre Pechino si prepara a lanciare la sua terza portaerei venerdì in occasione del Dragon Boat Festival, le forze in campo sono sempre più squilibrate. 

Per gli Usa, la Cina è diventato il primo rivale e il centro della loro strategia è diventata l’Asia-Pacifico. Da allora la Casa Bianca si prodiga a rassicurare Taipei sulla volontà di difenderla. Tra presunte gaffe (di Biden) e finti segreti svelati (la presenza dei militari Usa a Taiwan), l’ambiguità strategica sembra essere meno ambigua. Kiev è il 67esimo partner commerciale di Washington, Taipei il nono. Il settore dei semiconduttori, di cui Taiwan è indiscusso leader globale nel comparto di fabbricazione e assemblaggio, riveste un'importanza tecnologica e dunque strategica cruciale nella contesa tra potenze. Non un caso che Washington stia ripetutamente cercando di tagliare il cordone ombelicale ancora esistente dell'export di chip taiwanesi verso la Repubblica Popolare, portandosi in-house uno stabilimento del colosso TSMC con apertura prevista nel 2024 in Arizona. Non solo. Taiwan ha anche un’importanza simbolica. Esempio vivente, per usare una visione alla Mike Pompeo, che un governo etnicamente cinese può prosperare senza la guida comunista. 

Il governo cinese non ha nessuna intenzione di negoziare su quello che descrive come un "obiettivo storico". Anzi, sembra muoversi nella direzione di chiarire una timeline entro la quale dovrà avvenire quella che la Repubblica Popolare chiama "riunificazione" e che i taiwanesi chiamano "annessione". Il segnale è arrivato dalla terza risoluzione storica pubblicata durante l'ultimo plenum e dalla relazione del premier Li Keqiang in apertura delle "due sessioni" di marzo. Promettendo l'impegno nella "crescita pacifica delle relazioni nello Stretto di Taiwan" e rigettando le "interferenze straniere" su una vicenda considerata prettamente interna, la relazione contiene l'impegno a "risolvere la questione di Taiwan" entro la "Nuova Era". 

I messaggi contrapposti rischiano di salire di livello.

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